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Intervista a Clara Perra
Servizio di Oretta Pierotti Cei per “Il sole delle Alpi”

Un rullo di due tamburi dà il via ad una delle più famose ouverture rossiniane: La gazza ladra. Ed è ancora il suono dei tamburi che nel famosissimo “rataplan” de La forza del destino di Verdi accompagna, insieme al coro, la zingara Preziosilla. Nome indeclinabile ed onomatopeico attribuito al suono del tamburo, il rataplan lo troviamo ne La figlia del reggimento melodramma di Donizetti, nell’opera in cinque atti Gli Ugonotti di Meyerbeer; insomma il rataplan appare spesso in quei brani operistici in cui appunto prevale il tamburo.
Fra i più antichi e usati in ogni civiltà il tamburo appartiene alle cosiddette percussioni a suono indeter
minato, che comprendono una varietà enorme di strumenti: la grancassa, i piatti, il triangolo, il tam-tam, il tamburello basco, i sonagli (per citarne solo alcuni). Eppure, tranne poche eccezioni come, ad esempio, quella dei timpani (introdotti in orchestra verso la fine del XVII secolo), nella musica colta occidentale e fino al XX secolo questi strumenti sono stati poco utilizzati. È solo dall’inizio del Novecento che il repertorio degli strumenti a percussione si è arricchito con lo xilofono (introdotto in orchestra da Saint-Saëns nel 1875), i tom-tom, i bongos, le congas, il vibrafono, la marimba, i gong orientali, il guiro (usato da Stravinski nella “Sagra della primavera”), tipi diversi di strumenti etnici, le castagnette o nacchere, i crotali, il wood-blok, la raganella (strumento di legno formato da una piccola ruota dentata) …

Maestro Clara Perra lei con le percussioni vive, suona, insegna… ne ho dimenticati altri?

Gli strumenti a percussione sono così tanti che sarebbe impossibile ricordarli tutti, tanto è vero che lo stesso termine: “A percussione”, usato per indicare membranofoni, cordofoni e aerofoni (che producono il suono anche senza essere percossi) non è esatto. Il guiro, ad esempio, non si percuote ma si raschia.

Una signora, dunque, che suona strumenti a percussione, abbastanza insolito per una donna?

Quando ho iniziato a tenere concerti con un sestetto formato da soli strumenti a percussione io e un’altra collega eravamo tra le prime donne percussioniste in Italia e questo contribuiva al successo del gruppo. Poi, quando sono iniziate le competizioni (audizioni e concorsi) ho sperimentato sulla mia pelle quello che affermava Charlotte Whitton e cioè che “Qualsiasi cosa facciano le donne, la devono fare due volte meglio degli uomini per essere considerate valide la metà”.
Oggi, fortunatamente, le cose sono cambiate e, di conseguenza, non è più insolito vedere una donna alle percussioni, come alla tromba o al fagotto.

Maestro Clara, lei si è diplomata in pianoforte e, con il massimo dei voti, la lode e il bacio accademico anche in strumenti a percussione. Ha vinto quattro audizioni nazionali e un concorso internazionale per strumenti a percussione presso l’Orchestra San Carlo di Napoli; ha collaborato con grandi direttori d’orchestra sia in orchestra e sia come solista. Ha suonato inoltre con orchestre e complessi da camera quali la “Scarlatti RAI”, la giovanile “Franco Ferrara” , l’Ensemble “Tempo di Percussione” e l’orchestra jazz-sinfonica “Italian Synphony Orchestra”. L’amore per gli strumenti a percussione le hanno pertanto fatto abbandonare il pianoforte?

Il pianoforte è uno strumento a percussione indiretta perciò non l’ho mai lasciato per gli strumenti a percussione diretta. Questo connubio mi ha permesso di eseguire , ad esempio, sia la parte di pianoforte, sia quella di percussione di brani come “Amores” di John Cage.
Però suonare certi strumenti a percussione diretta con le mani nude dà una sensazione diversa. È come toccare il suono e il ritmo, l’intangibile che diventa quasi concreto.

Attualmente è titolare della cattedra di strumenti a percussione al Conservatorio “Luisa D’Annunzio” di Pescara e precedentemente ha insegnato al Conservatorio di Benevento, di Salerno, Foggia, Potenza, l’Aquila; lei ha dunque una lunga esperienza didattica; chi sono i giovani che privilegiano gli strumenti a percussione; ci sono ragazze e che possibilità avranno con questo diploma?

I giovani che studiano le percussioni provengono spesso dalla batteria o da altri strumenti. Quando ho iniziato a studiare io, a Napoli, vi erano più ragazze che ragazzi, mentre oggi nella mia classe vi è un’unica donna. Le possibilità di affermazione nel mondo del lavoro tra uomini e donne sono le stesse, tutto dipende dalla bravura. Il diploma in se vale poco se non si sa suonare.
Il problema è che la quantità va sempre a discapito della qualità. Una volta in Italia vi erano soltanto una quindicina di conservatori e le maggiori orchestre nazionali erano formate per lo più da cittadini italiani. Adesso che i conservatori sono più di sessanta, per formare le orchestre si deve ricorrere sempre di più ad elementi stranieri. In ogni caso, oltre a poter partecipare ai concorsi presso i vari enti lirici e sinfonici di tutta Europa il diploma apre anche le porte dell’insegnamento nelle scuole ad indirizzo musicale..

Suonare strumenti a percussione potrebbe sembrare facile, occorrono invece molti esercizi: imparare bene l’impugnatura delle bacchette, coordinare i movimenti, saper alternare velocemente le mani, c’è quindi un lungo e severo apprendimento…

Lo studio delle percussioni, per certi versi, ricalca quello del pianoforte. Nelle percussioni è importante “il tocco”, dal quale nasce il bel suono, come nel pianoforte. Perciò i sacrifici per ottenere una buona tecnica, sia con le percussioni sia col pianoforte si equivalgono. Purtroppo quando un pianista suona bene il merito è tutto suo, mentre quando un percussionista sfoggia un bel suono spesso l’ascoltatore ne attribuisce il merito allo strumento. Infatti, mentre di un bravo pianista si dice sempre che ha un bel tocco, di un vibrafonista spesso si dice che è il vibrafono ad avere un bel suono.

Lei, Maestro Perra ha scritto saggi sulla nuova teoria musicale, composizioni e trascrizioni per complessi da camera e strumenti solisti ed è coautrice del trattato in due volumi “La musica tra ritmo e creatività”. Un’opera che va dalla propedeutica musicale all’interpretazione della nuova grafia musicale. Ci spieghi come si legge la musica per strumenti a percussione? Viene scritta sul pentagramma come per gli altri strumenti?

La musica per strumenti a percussione viene scritta, come per tutti gli altri strumenti, sulle linee e negli spazi del pentagramma. La differenza sta nel fatto che mentre per gli strumenti a suoni definiti come timpani, xilofono, vibrafono, marimba, campane, ecc. si usano le note e le chiavi di violino o basso, per la notazione della batteria, o set di percussioni a suono indeterminato, come tom-tom, temple block (i colorati block cinesi a testa di drago), si usano anche crocette e simboli speciali.

Lei, nel 1984, è stata l’unica percussionista italiana che ha fatto parte de “L’Orchestre des Jeunes de la Méditerranée”, formazione europea alla quale partecipano tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo; come mai solo i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo? Forse gli strumenti a percussione appartengono a quel folklore che ancora oggi ritroviamo nella Campania e comunque prevalentemente nelle regioni del Sud?

L’orchestra dei giovani del mediterraneo è una delle tante orchestre giovanili che operano in Europa, alla quale partecipano solo i paesi che affacciano sul mediterraneo, così, come tutti i paesi europei a quella della Comunità. Io vi ho partecipato proprio nell’anno della sua costituzione e sono stata invitata, per una sorta di chiara fama, assieme a un greco e a un israeliano.
Il folklore non centra perché il repertorio di quest’orchestra è classico-contemporaneo.
Nell’anno in cui ho partecipato io, in programma vi erano musiche che andavano da Schumann a Iannis Xenakis (il musicista-architetto ideatore della cosiddetta “musica stocastica”).

Maestro Perra, lei ha sacrificato la carriera concertistica per l’insegnamento anche se avrebbe potuto ottenere dal direttore del conservatorio “occasionali permessi artistici”. Non le pesa questa rinuncia ma soprattutto perché l’ha fatto?

Questa è una bella domanda, che mi consente di chiarire quanto già detto in precedenza sulla quantità che va sempre a discapito della qualità. La rinuncia all’attività solistica e orchestrale è stata determinata da una legge dello stato, fatta per creare posti di lavoro che invece è servita solo ad aumentare il numero dei musicisti disoccupati. Tale legge, ha obbligato gli insegnanti, dipendenti anche da enti lirici e sinfonici, ad optare per l’uno o per l’altro rapporto di lavoro. In questo modo nei conservatori sono entrati giovani alle prime armi, al posto degli esperti insegnanti che avevano optato per l’orchestra, mentre altri giovani, che nel frattempo l’esperienza se la erano fatta suonando in orchestra, non hanno potuto insegnare. Sarebbe come se a un chirurgo si dicesse che se vuole insegnare non deve più operare. La mia è stata una decisione molto sofferta, poi ho scelto l’insegnamento perché mi consente di dare a tanti altri le basi musicali e tecniche della scuola italiana che, invece, con l’attività solistica duravano solo lo spazio dell’esibizione. Oggi anche i grandi pianisti non riescono più a sopravvivere solo con l’attività concertistica; quando suonavo in orchestra avevo anche un’intensa attività concertistica organizzata ed ho suonato i classici, trascritti per vibrafono e marimba, persino nelle chiese. Con il trasferimento da Napoli a Pescara ho avuto anche qualche esperienza direttoriale, ma non ho mai usufruito dei permessi artistici perché svolgo le mie lezioni in due giorni consecutivi e, quindi, mi restano cinque giorni alla settimana per studiare e per partecipare a seminari, Master class e altre manifestazioni alle quali vengo invitata.

Per citarne solo alcuni: il francese Edgard Varèse, naturalizzato statunitense, fra la tanta musica compose Equatorial, per basso, ottoni, pianoforte, organo e percussioni; il musicista americano Henry Cowel scrisse nel 1959 il Concerto per percussioni; nella sua vasta produzione sinfonica e da camera del messicano Carlos Chávez troviamo del 1942 La Toccata per strumenti a percussione. Le percussioni, dunque in quegli anni attiravano particolarmente i compositori, soprattutto d’oltre oceano?
Però anche in Italia troviamo Adriano Guarnieri che nel 1980 ha scritto Pierrot Pierrot per flauti, percussioni e celesta; …Il tubare della tortora non odi? Per voce, percussioni e orchestra.

Vengono eseguite in concerto queste composizioni e il pubblico le sa apprezzare?

Purtroppo in Italia la musica contemporanea viene apprezzata più quando è associata alla visione di immagini che in concerto. Fanno eccezione alcune composizioni come, ad esempio, la “Toccata” di Chavez, da lei nominata, “Ionisation” di Varese e altri classici del genere.
Fare i programmi è un’arte, perciò se certe composizioni più complesse vengono proposte assieme ad altre più accessibili il successo è assicurato. Noi, assieme a Bach e al sogno di Schumann, trascritti per vibrafono, abbiamo sempre avuto un grande successo anche con brani conmporanei sperimentali nei quali suonavamo persino i freni delle automobili e i gong immersi nell’acqua.

Secondo lei, gli strumenti a percussione che hanno assunto una funzione di primo piano sia in orchestra, sia nella musica da camera, nelle formazioni jazz, ecc. sono tuttavia ancora poco conosciuti dal grande pubblico?

Penso proprio di sì. A parte la notissima batteria e gli strumenti che la compongono (g, cassa, tamburo, piatti, ecc.) anche gli strumenti classici usati in orchestra sono poco conosciuti.
Se anche tanti musicisti non conoscono la differenza fra marimba, xilofono o vibrafono non ci si può stupire poi se il timpano viene ancora chiamato “tamburone”.

Come si riconoscere la qualità di uno strumento a percussione? La marca è importante come, ad esempio, per il pianoforte?

La qualità di uno strumento a percussione si riconosce dai materiali impiegati, dall’accuratezza e dalla genialità del progetto, dalla facilità d’uso, ecc. requisiti che, però, non servono a nulla se lo strumento non ha un buon suono.
La marca può essere importante per alcuni strumenti ormai industrializzati, come i timpani, mentre per altri No. Oggi, ad esempio, ci sono dei tamburi e delle batterie artigianali che rispondono meglio, a livello di morbidezza di suono, dei modelli fatti in serie.

Lei Maestro Perra ha una lunga esperienza professionale e didattica; gli allievi di conservatorio impiegano otto anni per raggiungere il diploma; cosa prova quando sente giovani che suonano le percussioni senza avere padronanza degli strumenti, forse facendo più rumore che musica?

Quando vedo e sento giovani che usano bellissimi strumenti solo per fare baccano penso sempre ai loro insegnanti. Tutti dovrebbero sapere che anche un tamburo suonato male, da strumento a SUONO indeterminato diventa a… RUMORE indeterminato.
Il problema sta nel fatto di anteporre la forza fisica alla tecnica (che, evidentemente, non hanno imparato) ed i risultati si vedono anzi si, sentono.

Lei è molto carina, ha un sorriso che le illumina gli occhi; è possibile suonare con vigore batteria, piatti… è rimanere nello stesso tempo femminile?!

La ringrazio per il complimento. Quando si possiede la tecnica giusta è sicuramente possibile perché il forte sonoro si ottiene con la velocità del movimento e non con la vigoria fisica. Il mio maestro diceva che le donne sono avvantaggiate, nello studio delle percussioni rispetto ai maschi, perché hanno una maggiore sensibilità. In orchestra ho suonato anche i piatti a due: lo strumento più difficile per una donna (per ovvie ragioni…anatomiche) ricevendo i complimenti dai tutti i miei colleghi maschi. Le confido un segreto.
Nella mia classe, quando si preparavano gli esami e i concorsi, il nostro maestro, oltre alla tecnica, curava anche l’immagine, pretendendo il sorriso “musicale” anche quando si affrontavano musiche molto impegnative. La faccia scura o imbronciata, diceva, viene sempre interpretata come insicurezza.

Maestro Clara Perra, diploma in pianoforte, in percussioni e …quasi medico avendo frequentato la Facoltà di Medicina. Secondo lei la musica è terapeutica per il fisico, ma soprattutto per l’anima?

Su questo non c’è dubbio! È ormai scientificamente provato che la musico-terapia, attraverso il controllo dell'attività cerebrale, può produrre benessere in quanto l'effetto delle vibrazioni agisce direttamente su alcune funzioni vitali del nostro organismo quali, per esempio, la respirazione e il battito cardiaco. Naturalmente, stiamo parlando di buona musica perché, in caso contrario, gli effetti sarebbero nefasti per la salute del corpo e dell’anima.

Oretta Pierotti Cei – Milano